Via del Parco Margherita tra Liberty e tardo Eclettismo. Il Villino Paradisiello

La strada che congiunge Piazza Amedeo con il sovrastante Corso Vittorio Emanuele è un susseguirsi di edifici di forme geometriche ed altezze eterogenee che si combinano sul dislivello dei tornanti, con facciate che presentano elementi di ispirazione neoromanica, ma anche neoclassica e di gusto neorinascimentale. E’ il “liberty” di Via del Parco Margherita, quello delle pensiline in ferro battuto, dei frontoni maiolicati, delle aperture decorate a motivi geometrici, dei fregi e dei mascheroni sotto i cornicioni, dei torrini e dei pilastri, degli ornamenti naturalistici, degli stucchi e delle forme curve del cemento.

Intorno al 1500 tutta l’area era un immenso parco verde che scendeva dalla collina del Vomero fino al mare, l’attuale Riviera di Chiaia, interrotto da sporadici casini di villeggiatura, luogo di svago e di vacanza della nobiltà partenopea.

Restò poco urbanizzata fino a tutta la metà dell’800, quando Ferdinando II di Borbone affidò ad Enrico Alvino, Francesco Saponieri, Antonio Francesconi, Luigi Cangiano e Francesco Gavaudan il progetto di realizzazione di una grande arteria cittadina, l’attuale Corso Vittorio Emanuele, all’epoca Corso Maria Teresa, per collegare la zona occidentale di Chiaia e Piedigrotta con l’Infrascata (attuale Via Salvator Rosa) e poi, tratto mai realizzato, con il Museo e Capodimonte. Anche il progetto di Alvino prevedeva che la fascia che divideva il nuovo quartiere Chiaia dal Corso dovesse restare un’ampia ed ininterrotta distesa di campagna. Con un rescritto del 31 maggio del 1853, in analogia a quanto aveva già disposto per Posillipo, Capodimonte e Via del Campo (l’attuale Capodichino), Ferdinando stabilì che tutte le costruzioni sul declivio dovessero rispettare la veduta panoramica che il Corso Maria Teresa offriva, con edifici di altezze decrescenti man mano che si saliva verso la collina. Per la prima volta nella storia, proprio a Napoli e con i Borbone il concetto di proprietà privata trova un limite vincolante nell’interesse della collettività a fruire del panorama. Il divieto di alzare fabbriche, le quali “togliessero amenità o veduta”, fa di Ferdinando di Borbone un precursore della tutela del diritto al paesaggio e alle bellezze naturali che trovò poi una disciplina positiva nella legge del 1922, la legge di Benedetto Croce. Non a caso, nella sua relazione introduttiva, Croce faceva riferimento ai rescritti borbonici da cui la legge, la prima in Italia sul paesaggio, prendeva le mosse.

Con il piano di Risanamento e ampliamento di fine ‘800 l’area, ceduta in concessione al barone Treves ed alla Società Veneta, fu interessata da interventi di edificazione di fabbricati residenziali destinati all’alta borghesia napoletana, nelle due tipologie del villino e della palazzina. Pur deviando dal progetto iniziale che vedeva l’intera area esclusivamente destinata a verde, le costruzioni furono realizzate in armonia con la conformazione a tornanti della strada, in ossequio ai dettami borbonici sull’altezza delle fabbriche e con una densità edilizia certamente ridotta rispetto all’estensione del verde.

Con l’apertura nel 1889 della funicolare di Chiaia, la prima a Napoli che collegava il nascente rione residenziale del Vomero con il quartiere di Chiaia, Parco Margherita divenne non solo la strada scelta dalle famiglie più agiate per risiedervi, ma anche luogo prediletto dai forestieri che giungevano a Napoli per affari o per svago. Qui gli architetti del primo Novecento riuscirono a coniugare espedienti tecnici, funzionalità e rispetto della natura, realizzando edifici spesso con due ingressi, a valle e a monte, come per il Palazzo Acquaviva Coppola, ed in cui la distribuzione dei piani restava rispettosa della veduta ed il distanziamento dei corpi di fabbrica riusciva a conferire luce alle zone “sottoposte” rispetto al livello della strada.

La pienezza del nuovo stile si espresse nella libertà degli impianti planimetrici e soprattutto negli apparati decorativi propri di quel linguaggio nuovo che improntava le architetture dei quartieri di Napoli di nuova urbanizzazione, come il Vomero e Posillipo. Nell’ultimo tratto della strada, prima di immettersi sul Corso Vittorio Emanuele, sul quale ha un accesso secondario, lo sguardo è avvinto da un edificio che, a dispetto del suo nome, “Villino Paradisiello“, è dal punto di vista planimetrico ben più imponente rispetto alla mole di molte costruzioni circostanti. In origine era un albergo, circondato da un ampio giardino, con accesso principale dal lato curvo, sul quale, a coronamento della facciata, un fregio riporta la data di costruzione: 1909.

Fu costruito dall’architetto Gaetano Licata, precursore di Arata nella collaborazione con l’impresa Ricciardi, Borrelli, Mannajuolo.

Le finestre e i balconi si aprono su specchiature in mattoni rossi e sono orizzontalmente scandite da lesene in stucco grigio che terminano, sotto il cornicione, con grandi mascheroni, rievocando architetture napoletane di epoca barocca. Particolari che sfuggono nel percorso che abitualmente si intraprende di passaggio, spesso in automobile, per raggiungere il corso Vittorio Emanuele o piazza Amedeo, un percorso che è una vetrina di architetture di primo Novecento, dove il liberty si combina con l’eclettismo fatto di revival di stili passati, in una miscellanea che è sperimentazione di concetti costruttivi ed estetici che qui riescono bene ad armonizzarsi tra loro.

Scritto da:

Marialaura D'amore

Marialaura D'amore

Laureata in giurisprudenza, lavora nel settore pubblico e nutre un grande amore per l’arte, la storia, le architetture, i musei e i panorami di Napoli, che fotografa nelle sue passeggiate.

Condividi su:

Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
WhatsApp

Iscriviti alla nostra newsletter e ricevi gli ultimi articoli pubblicati; potrai cancellare la tua iscrizione in qualsiasi momento.

Non puoi copiare il contenuto di questa pagina

Ricevi gli aggiornamenti in tempo reale!

Iscriviti alla nostra newsletter e ricevi gli ultimi articoli pubblicati.

Potrai cancellare la tua iscrizione in qualsiasi momento.